Bondeno, 27 agosto 2012
Mi chiamo Ormea ho 82 anni e abito a Bondeno, uno dei centri del ferrarese colpito dai terremoti. Dal 20 maggio vivo una strana sensazione. Il sisma mi ha costretto a dormire per un mese in un dormitorio pubblico organizzato dal Comune. Le tante scosse che per giorni si sono avvertite hanno cambiato la mia vita e quella di tutti i miei compaesani.
Nella foto:
Fotogramma del film documentario sull’argomento Pasta Nera di Alessandro Piva
Ma in questi giorni sono attraversata da brividi di nostalgia e da ricordi che la mia mente non aveva dimenticato ma solo accantonato negli anni.
Quando, qualche settimana fa ho ricevuto una telefonata dall’UDI di Ferrara che mi invitava a partecipare o collaborare ad un progetto di solidarietà che la Consigliera di parità di Ferrara aveva ricevuto dalla collega di Napoli, di ospitare a Posillipo mamme e bambini dei paesi terremotati come scambio di generosità che loro avevano ricevuto negli anni ’50 dalle famiglie emiliane che avevano accolto i loro bambini bisognosi, ecco il brivido. Nella mia testa si accavallano immagini e ricordo.
Mio padre un giorno del 1947 era arrivato a casa con un bambino di 7 anni, dicendomi “ti affido Armando, viene da Napoli e starà con noi qualche tempo. Cerca di avere cura di lui, lavalo e fallo mangiare”.
Noi abitavamo a quel tempo a Scortichino, una frazione di Bondeno e con Armando erano arrivati altri 10 maschietti e una bambina di due anni.
Io avevo 17 anni e non ho faticato a seguire le disposizioni di mio padre. Era un bambino bisognoso di affetto che improvvisamente si lanciava in grandi abbracci.
Da subito si presentarono due problemi: lui parlava solo il suo dialetto, e mamma e papà solo il nostro, ma soprattutto inizialmente non intendeva lavarsi.
Iniziai quindi ad insegnargli un po’ d’Italiano anche perché era stato iscritto alle scuole elementari.
La sua resistenza all’acqua forse si doveva a quanto ho saputo molto tempo dopo. A questi bambini qualcuno aveva raccomandato di stare attenti perchè al Nord e soprattutto in Emilia c’erano i comunisti che mangiavano i bambini o ne facevano saponette.
Provavo un grande affetto per Armando e ho messo in atto forme di protezione per farlo sentire bene, farlo sentire uno di noi e non farlo soffrire.
Purtroppo, mi pare dopo un anno, arrivò il giorno della partenza che con mio padre organizzammo senza fargli capire nulla, proprio per non farlo soffrire. In seguito capii che fu molto sbagliato metterlo su un pullman senza spiegazioni come fosse una punizione.
Mio padre quella mattina scomparve misteriosamente nei campi dopo avermi consegnato un po’ di denaro da dare ad Armando all’ultimo momento e qualche moneta per compragli una aranciata e un po’ di pane.
Era una giornata di sole e io avevo recuperato un paio di grandi occhiali scuri non per difendermi dalla luce ma per nascondere le lacrime che, fin dal mattino, avevano cominciato a scendere.
Prendemmo un mezzo per raggiungere la città e consegnare il bambino che assieme a tanti altri doveva tornare dalla sua famiglia.
Armando cominciò a farmi domande e a chiedermi perché mi volevo liberare di lui. Il nome di sua mamma non lo calmava… ancora adesso ripensandoci mi prende un nodo alla gola di nostalgia e ricominciano le lacrime.
Un pullman lo portò via e io tornai a casa con un gran senso di vuoto e con il desiderio di rivederlo presto. Ma non fu così.
Ci scrivemmo per qualche anno e sapemmo dalla sua mamma che era deceduto il suo papà.
Poi più nulla.
Ora la voglia di ritrovare o avere notizie di Armando Miceli è più forte che mai e mi sarebbe piaciuto partire il primo di settembre per Posillipo con la mia nipotina, anche per avviare qualche ricerca, ma sono impedita da problemi di salute familiare.
Chissà che qualcuno lo possa fare per me!
Voglio però fare arrivare a Napoli questa mia testimonianza a dimostrazione di una riconoscenza a tutte coloro che stanno lavorando a questo magnifico progetto di solidarietà e di sani valori che sono sicura lascerà un segno incancellabile. Un caro saluto Ormea Lupi