Volevamo fare un 8 marzo diverso
Così nacque la Biennale

di Liviana Zagagnoni

Il testo è tratto dal Catalogo della XX Biennale Donna Ferrara Yours in solidarity

Per molto tempo ha risuonato l’eco della straordinaria mostra L’altra metà dell’avanguardia organizzata dalla critica d’arte Lea Vergine a Palazzo Reale di Milano nel 1980 per promuovere il lavoro delle artiste e dare loro il giusto rilievo. Tale esposizione è riconosciuta tutt’oggi come fondamentale nell’ambito della riscrittura della storia dell’arte contemporanea e nell’ambito delle questioni di genere. L’idea della Vergine non aveva avuto seguito e nei nostri pensieri germogliava un desiderio simile. Da tempo come UDI avevamo contatti con artiste ferraresi, con le quali già organizzavamo collettive portandole anche all’estero, per esempio nella gemellata città di Capodistria in Slovenia (1978) e a San Pietroburgo in Russia (1981).

Erano momenti in cui era ancora evidente la maggiore difficoltà delle donne di farsi spazio per esporre le loro opere. Il contesto consolidato non era affatto paritario e confermava le opportunità espositive molto più limitate per le artiste, condizionate da retaggi socio-culturali.
Era decisamente un gap da affrontare e una associazione come l’UDI, che fin dalla sua nascita aveva combattuto ogni forma di discriminazione femminile in ambito sociale – a partire dal suo primo impegno per ottenere il suffragio universale nelle elezioni democratiche del 1946 e, subito dopo, l’impegno di abbattere ogni ostacolo per l’accesso delle donne a ogni professione – riteneva necessario superare tale squilibrio di opportunità anche nel mondo dell’arte.
Il dialogo già esistente con il maestro Franco Farina, allora direttore delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, con il quale si era collaborato portando nelle sale del Centro Attività Visive i lavori naïf della bracciante copparese e militante dell’UDI locale Ermanna Chiozzi, ha favorito la realizzazione dell’idea che sarebbe stata complementare alle tante attività che UDI era solita organizzare in occasione dell’8 marzo, giornata internazionale della donna.
«Vogliamo fare un 8 marzo diverso, ci dai un aiuto?» Così si rivolge Ansalda Siroli a Farina, che coglie l’invito per sensibilità o per lungimiranza, attivandosi per realizzare nelle sale espositive dei musei ferraresi una collettiva di 34 artiste rilevanti del panorama italiano, curata da Marilena Pasquali.
La mostra inaugurò il 26 febbraio del 1984 e il titolo, Figure dallo sfondo, voleva mettere in luce la presenza delle donne sulla scena artistica, le loro capacità creative e inventive, ma, al tempo stesso, sottolineare come queste fossero confinate in un mondo velato, quasi invisibile.
Alcune erano riuscite a superare le diffidenze, altre no, ma le prime dovevano trasmettere forza ad altre, in particolare a una schiera di giovani che tentavano di uscire dallo sfondo. L’interesse e la curiosità suscitate da questa prima mostra disse che l’esperienza non era da abbandonare. Così Figure dallo sfondo si ripresentò anche nel 1986. Si propose la curatela a Romana Loda, che dieci anni prima aveva organizzato a Roma Magma, una mostra internazionale dalle medesime finalità. Furono 22 le artiste invitate, riscuotendo nuovamente l’interesse del pubblico, tanto che si prospettò l’opportunità di continuare tale evento e due anni dopo le curatrici scelte, Dede Auregli e Cristina Marabini, fecero un’operazione non solo italiana, dando così il primo segno di internazionalità
al progetto.
Le sale espositive che il Comune di Ferrara disponeva in quegli anni e ci metteva a disposizione andavano dal Padiglione d’Arte Contemporanea, al Centro Attività Visive, dalla Sala Benvenuto Tisi alle Gallerie 1 e 2 e alla Galleria della fotografia di Palazzo Massari. Diventano i tanti contenitori di queste esposizioni che abbracciano diverse discipline ospitando dipinti, sculture, incisioni, fotografie, arazzi, costumi, istallazioni, fino alla videoarte.
Non poteva terminare così un momento tutto al femminile, sperimentato con tanto lusinghiero successo anche oltre i confini ferraresi.
L’operazione proposta, ossia dare rilievo a un segmento importante dell’arte contemporanea, risultava vincente anche nella sua forma organizzativa e di contenuto. L’adesione di tante partecipanti sfatava altresì l’idea di una mostra-ghetto, come inizialmente veniva additata, naturalmente rifiutata da UDI stessa perché le intenzioni erano esattamente opposte. Il ghetto è un luogo concettualmente chiuso abitato da “diversità” che non devono contaminare l’esterno.

Noi invece volevamo definire degli spazi per aprirli e contaminare l’esterno fatto di una società e di un pubblico che per ragioni culturali erano più abituati al maschile e “distratti” verso il genere femminile. Ancora una volta l’opportunità e la sfida la offre il maestro Farina che propone a noi e all’Amministrazione comunale di trasformare questa insolita esperienza in una mostra biennale, come di fatto già era, chiamandola appunto Biennale Donna, parafrasando la Biennale più famosa nel mondo, quella di Venezia.
(…)
Sono invitate a costituire il primo Comitato Biennale Donna e accettano con interesse, forse consapevoli di essere protagoniste di una inedita “avventura” per questa città, ma forse anche per la stima verso questa associazione, nota per ben altri impegni verso le donne: Lola Bonora direttrice del Centro Video Arte, Dida Spano architetta, Anna Maria Fioravanti Baraldi storica dell’Arte e Paola Mingozzi, ricercatrice di Storia contemporanea, affiancate dalle esponenti UDI Francesca Mellone, Anna Rossini e naturalmente Ansalda Siroli e la sottoscritta.
Gradualmente altre componenti sono subentrate o si sono sostituite dando al Comitato sempre nuovi stimoli e nuove idee: Federica Manfredini, Anna Quarzi, Antonia Trasforini, Silvia Cirelli, Catalina Golban, Elisa Leonini e Ada Patrizia Fiorillo. Donne che hanno deciso di mettere volontariamente a disposizione della Biennale la loro competenza professionale, allargando gli orizzonti d’interesse e di coinvolgimento in diversi ambiti, creando le occasioni di ampliare il focus del progetto ad attività collaterali, mirate ad approfondire il tema prescelto, attraverso rassegne cinematografiche, presentazione di libri, convegni, seminari, laboratori, ricercando partecipazione attiva degli studenti di diversi ordini scolastici.
L’impegno delle componenti del Comitato Biennale Donna non si è limitato solamente a studiare e proporre progetti. Spesso hanno anche curato o co-curato le diverse edizioni, o firmato saggi nei cataloghi, o realizzato documentari.

Scorrendo la storia della Biennale come se fosse un taccuino di appunti e di ricordi, leggiamo per esempio l’apporto di Federica Manfredini, artista pure lei, che cura la mostra Vanessa Bell & Virginia Woolf. Disegnare la vita. Emozionante incrocio tra le due arti delle sorelle, tra le opere pittoriche della Bell e la produzione letteraria della Woolf, icona del femminismo, le cui copertine erano disegnate da Vanessa. (…) A seguire, Antonia Trasforini entra nel Comitato e cura il docufilm Lettere scarlatte nella Biennale del 1998. Un posto speciale nel Comitato fin dalle sue origini lo occupa Lola Bonora, istrionica presenza dalle idee fresche e sempre “sul pezzo”. Pronta alla collaborazione con Anna Quarzi nella produzione di documentari, con Vittoria Surian nell’anno di Carol Rama (2000); con Silvia Cirelli cura Violence. L’arte interpreta la violenza nel 2012 e Silencio vivo nel 2014; troviamo la sua firma anche nelle edizioni 2004 e 2008, quale curatrice di Andata e ritorno e della grande personale di Mona Hatoum.
Altra presenza costante in Comitato è Dida Spano: il suo ruolo importante svolto non solo curando Architetture nel 1990 – un confronto tra tre professioniste appartenenti a stili e diversi ambiti dell’architettura – ma anche dedicandosi agli allestimenti dal 1990 al 2016, compresa la complessa esposizione del 2002
Dal merletto alla motocicletta. Cento artiste che hanno tracciato la storia del design femminile in Italia dai primi manufatti artigianali alla produzione industriale. La mostra era curata da Anty Pansera studiosa di design. Mentre Anna Quarzi, esperta di cinema, ma anche di letteratura e di storia, entra nel Comitato negli anni Novanta realizzando per le Biennali, assieme a Lola Bonora, importanti documentari: Arte scheggiata, una inedita intervista a Marisa Volpi famosa storica e critica d’arte (1994); V and V (Vanessa Bell e Virginia Woolf (1996); Protagoniste (1998), l’edizione che vede la collaborazione artistica di Mirella Bentivoglio, tra le maggiori esponenti della “poesia visiva” i cui passaggi in Biennale avverranno più volte, segnandola significativamente. Tornando alla poesia visiva il pensiero va anche ad un’altra grande artista alla quale è stata dedicata un’antologica. Parliamo di Ketty La Rocca, organizzata nel 2018 con la cura di
Raffaella Perna e Francesca Gallo, su proposta di Catalina Golban nuova componente del Comitato. (…)

Continuando a sfogliare il taccuino della memoria da quegli anni Ottanta fino a oggi, possiamo senza dubbio constatare come la Biennale Donna si sia modificata nel tempo, modulandosi su nuove esigenze legate al momento storico. Passiamo infatti da ricerche storiche, a collettive, personali o antologiche di figure di grande notorietà già citate ma alle quali aggiungiamo la costumista Franca Squarciapino premio Oscar (edizione 1992), a collettive di sfondo sociale che analizzano momenti storici difficili, problemi sociali esplosivi, diritti violati, conflitti, migrazioni, terrorismo, violenze e femminicidi, salute del pianeta. (…)
Insomma, una cavalcata di quarant’anni da cui si riporta qualche dato interessante, tenendo presente che le edizioni spesso erano strutturate in più sezioni: 24 curatrici hanno coinvolto 430 artiste italiane e straniere di ogni disciplina presentate in 17 collettive, 12 tra antologiche e personali, mentre 30 cataloghi hanno accompagnato le 20 edizioni. E qui si esauriscono le pagine del taccuino della memoria, un taccuino non ingiallito ma con ancora pagine da riempire.

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